In ricordo di Silvia Montefoschi

Roma 12 giugno 1926 – Zurigo 16 marzo 2011


Il Pensiero Amato

Autori: Paolo Cozzaglio e Mimma Cutrale, ed. Zephyro
IL PENSIERO AMATO – intervista a Silvia Montefoschi (libro + DVD)

Questa inedita intervista, realizzata a poche settimane prima della morte di Silvia Montefoschi, è la testimonianza ultima del suo pensiero e propone una lettura nuova della realtà: si ascolta e si vede una concettualizzazione profonda, inscindibile dall’esperienza di vita. Il messaggio che questo libro e il DVD allegato comunicano è rivolto a tutti coloro che amano ricercare il dialogo con se stessi e una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza umana.

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Tu sei
in quanto io ti penso
quale pensante me e io sono
in quanto tu mi pensi
quale pensante te
sicché
tu non cessi di pensarmi
e quindi di esserci
finché io ti penso
e io non cesso di pensarti
e quindi di esserci
finché tu mi pensi
E se è il mio pensarti
a far sì che tu ci sia quale pensante me
ed è il tuo pensarmi
a far sì che io ci sia quale pensante te
tu non puoi cessare
di pensare me
perché io
non posso cessare di pensare te
e noi
non possiamo che pensarci all’infinito.
E se noi stessi siamo l’infinito
l’infinito finalmente è
perché
l’infinito non è
se non in chi è
infinitamente

Silvia Montefoschi
NELL’INFINITO ABBRACCIO

Con te nell’infinito abbraccio
che ci ha unito ieri
e ancora oggi ci unisce
e ci unirà domani
nell’eterno


Ultimo incontro / fu la voce a distanza.
Ci dicemmo soltanto
l’infinito amore e l’abbraccio.
Poi fu il silenzio
del giorno / e della notte
Il fermarsi del tempo / e della voce
Agonia del silenzio / L’amore tornava a cercare
nel pensiero / la sua perduta voce
Silenzio / senza lacrime / e rimpianti
Tutto si consumò / nell’arco di brevi attimi / poi ritornò
la sua voce / a cercarmi / La lunga attesa
si tramutò / nel luminoso abbraccio / oltre il tempo
e lo spazio /
nell’immanente pensiero / che qui ci raggiunge
e ci trascende /
Agonia dell’infinito / Lunga attesa / breve attesa
Gioia dell’incontro / che perdura / Amore amante
che non può morire

Grazia Apisa
Genova 16.03.2011
A SILVIA MONTEFOSCHI

La prima volta che ho incontrato Silvia è stato all’inizio degli anni settanta.
Sono rimasto subito colpito dalla sua apertura, dalla sua disponibilità, dalla sua cordialità.
Era la prima volta che la vedevo ma la conoscevo già, in quanto conoscevo il suo pensiero e il suo impegno nel sociale, dalla pratica psicoanalitica agli studi filosofici, soprattutto per avere letto e studiato il suo lavoro “Al di là del principio d’autorità”, apparso su “Psicoterapia e scienze umane”, n.8-9, 1969, dove, oltre ad esporre la concezione antropologica di Jung, buttava le basi del suo cammino.
Sottolineava in quel lavoro la responsabilizzazione ideologica dello psicoterapeuta e riguardo a Freud, pur non risparmiandogli alcuna critica, dimostrava grande considerazione e grande rispetto, come d’altronde ha sempre fatto.
Chiariva poi come Jung avesse iniziato il suo discorso là dove Freud l’aveva ultimato e dimostrava come la metapsicologia freudiana non poteva che fermarsi al “principio d’autorità” che veniva anche definito “principio di realtà”.
In quegli anni era molto viva la contrapposizione natura e società, dove la società veniva fra l’altro ad essere l’erede diretta dell’autorità paterna ed il “principio di realtà” veniva mostrato come l’unica possibilità che permettesse all’uomo di potere vivere in modo sano all’interno delle proprie dinamiche di “es”, di ”io”, di “super-io”, non venendogli però in tal modo riconosciuta alcuna capacità decisionale, se non quella della sottomissione. Si veniva così, per usare le parole di Silvia Montefoschi, a sancire biologicamente l’incapacità dell’essere umano di essere padrone della propria esistenza ed artefice della storia.
Per superare tale condizione necessitava muoversi su nuovi presupposti e qui interviene Jung con la sua concezione antropologica, in cui crea un nuovo modello di personalità, al cui centro pone l’”io individuale”, che diventa il terzo elemento del conflitto e ne opera la soluzione. Questo in quanto riconosce finalmente che le forze che si agitano in lui non gli sono estranee ma gli appartengono. Riconosce altresì tali forze come improntate da opposte modalità, provenienti dal confronto con l’inconscio, e ne opera la sintesi, ricorrendo al “simbolo” che viene a trasformare l’energia istintiva in energia creativa.
Questo processo viene da Jung chiamato “processo di individuazione” ed è solo possibile all’interno di una relazione terapeutica interagita dall’analizzando e dall’analista, che possa permettere ad entrambi di fare l’uno dell’altro lo schermo della proiezione del proprio interlocutore interiore, per poi recuperarlo a sé stesso.
Qui sembra esaurirsi il compito di Jung.
E’ qui che interviene Silvia Montefoschi con la sua ricerca ed i suoi lavori. Continua ad approfondire il rapporto analitico e a teorizzare il passaggio dall’interdipendenza all’intersoggettività ed andare oltre il tabu’ dell’incesto. Solo così, nel suo relazionarsi all’altro, al cospetto dell’altro, il soggetto può riconoscersi come tale.
L’ Io si volge verso il Sé Individuale e vi si comprenetra, per poi dirigersi verso il Sé Universale, dal quale proviene e fa parte.
Questo discorso ci porta a superare il concetto di dualità, in quanto gli opposti dividono, nonchè a considerare gli opposti come espressioni di una medesima dinamica del pensiero a polarità differente.
Il superamento della dualità porta all’unicità. Silvia ci ha insegnato che gli essere umani, uomo e donna, continueranno a dialogare fra di loro e nel loro dialogare si riconosceranno distinti ma tuttavia identici, in quanto consapevoli di essere entrambi soggetti pensanti, espressione del “Pensiero Uno”.
L’incontro del maschile col femminile avviene nella coniunctio e questa, da Silvia Montefoschi, oltre che sul piano logico spirituale è stata vissuta anche sul piano mistico esperenziale nel suo incontro con Giovanni. Silvia Montefoschi ha dell’Essere una visione unitaria e ci sprona a vivere la vita nella sua completezza, ossia nella totale espressione di sé e al di là dell’egemonia di soma e psiche, in quanto entrambi espressione del pensiero, ma anche il pensiero espressione di essi.
Termino questo ricordo con le sue parole:
Cosa vuole dire che è ciò che è?
Vuole dire che ciò che è, è l’esserci della presenza al cospetto d’altra presenza quale è infinito della vita.

8/04/11 Antonino Messina
Voglio salutare Silvia con la sua poesia “L’Immortalità dell’anima”

Solo coloro che / sono consapevoli / di sapere di sapere di sé / possono concepire / l’idea / e con essa la forma / concretamente vivente / del nuovo soggetto umano / quale soggetto riflessivo / che già sin dal momento / in cui viene concepito / sa di sapere di sé / e ha pertanto / l’anima immortale / Coloro che / non sono consapevoli / di sapere di sapere di sé / è come se / non sapessero / di sapere di sé / e pertanto / non concependone l’idea / non possono neppure concepire / la forma vivente / del soggetto umano / quale soggetto riflessivo / ma possono concepire / solamente / una forma animale / che sa soltanto di sé / senza sapere di saperlo / e che / pertanto / non ha un’anima immortale
Sicchè / coloro che / sono sopravvissuti / alla morte del corpo / come pensiero / che sapendo di sé come tale / si sa immortale / e pertanto lo è / sono solo coloro che / hanno incarnato / consapevolmente / l’unico pensiero vivente / portandone avanti / l’evoluzione / Tutti gli altri esistenti / hanno avuto / e hanno ancora / nell’armonia universale / la funzione / di mantenere in vita / sul piano materiale / ancora essenziale / al procedere del pensiero / coloro che / qui sulla terra / hanno vissuto / e vivono tutt’ora / solo in funzione / dell’evoluzione del pensiero


Silvia Montefoschi

Ciao Silvia, Antonino
Io mi ricordo
di essere stato
nelle molecole rifrangenti
di questo tramonto che mi commuove
nella lamiera forgiata
dell’auto che sto guidando
ma anche negli alberi
che passano lungo la strada
nel gatto che gioca
saltando sul davanzale della finestra
E so di essere
nel tuo sguardo
mentre con me parli
nel tuo accogliente corpo
in cui mi ritrovo nell’amplesso
in tutti coloro che incontriamo nel cammino
E finalmente ti incontrerò
amore mio anelato
nel riconoscerci in tutto questo
da sempre
per sempre

Paolo

UN ANNO DOPO (16 marzo 2012)

Silvia, mio sguardo luminoso
mio procedere certo e trasparente
richiamo alla verità delle cose
richiamo a salire senza indugio e paura.
Ti parlo oggi come allora,
sentendoti nel mio cuore aperto,
riconoscendoti nell’amore incarnato e del pensiero.
Un anno, Silvia, di esperienza viva del tuo esserci …
con me… con noi…

Miriam


James Hillman (Atlantic City 12 aprile 1926 – Thompson 27 ottobre 2011)

Sincronicamente, Silvia Montefoschi e James Hillman sono nati e morti nello stesso anno (1926 – 2011).

Entrambi originano dalla matrice junghiana ed entrambi hanno sviluppato il pensiero di Jung in modo originale, anche se complementare: Silvia sulla strada della logica unitaria del Pensiero Uno, James sulla strada dell’estetica Politeistica.

Entrambi uscivano dall’individualismo personalistico dell’io per allargare la visione all’universale.

Entrambi ascoltavano l’Anima e facevano Anima.

Entrambi hanno vissuto appieno la vita, nella gioia della scoperta del pensiero e nella realtà del dolore sperimentato nel corpo. Entrambi sono andanti incontro al passaggio della morte con le braccia aperte, con il vivo desiderio di mantenere lucida la Presenza cosciente, rifiutando l’ottundimento della “terapia”. Così consideravano la stessa psicoterapia: non come la possibilità di attenuare il dolore del vivere, ma come l’immergersi in esso per lasciare che l’opera alchemica potesse darsi e svelasse la vita.

Amo pensare a Silvia e a James come a un cuore unico, nel suo tempo di sistole e diastole.

Paolo Cozzaglio


Per consultare articoli che trattano del pensiero di Silvia Montefoschi: CEPEIDE rivista online ed Enciclopedia delle Donne

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